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Capitolo 11: Gelsomina

  Un colpo di tosse flebile.

  Sussultò. Il suono era così debole da essere quasi soffocato dall’orrore che lo circondava, ma abbastanza chiaro da fermargli il cuore.

  Si girò di scatto verso sinistra, lanciandosi contro un cumulo di detriti.

  Scostò una grande piuma incrostata di sangue e lì, rannicchiata all’interno di un’armatura arrugginita, vide Gelsomina.

  Sporca, coperta di graffi e sangue, ma viva. "Gelsomina!"

  Aster la raccolse in tutta fretta, ma con estrema delicatezza, stringendola tra le mani come il tesoro più prezioso. Non c’era tempo da perdere. Con attenzione, calcolando ogni passo per evitare nuove insidie, lasciò il nido il più velocemente possibile e tornò da Valantz.

  Appena il vampiro vide la ninfa in quelle condizioni, non esitò. Aprì la sacca e ne estrasse rapidamente una fiala, versandone qualche goccia sulle ferite della creatura.

  Per qualche secondo, non accadde nulla. Poi, lentamente, Gelsomina riaprì gli occhi.

  Li stropicciò, confusa e stanca. Il suo sguardo si posò su Aster... e vide il suo volto, rigato da lacrime di gioia.

  Nonostante la fatica, trovò la forza di sorridergli.

  "Grazie..." sussurrò con voce flebile. "Grazie per avermi salvata."

  Aster la strinse con dolcezza, senza riuscire a dire nulla. Le parole non servivano. In quel momento, tutto ciò che contava era che Gelsomina era viva. Ma il momento di tregua durò poco. Valantz si stiracchiò le spalle, facendo scricchiolare l’armatura, e si voltò verso Aster con un’espressione risoluta.

  "Se qui abbiamo finito, possiamo anche andarcene. Ho ancora un conto in sospeso da chiudere."

  Aster, stringendo ancora tra le mani Gelsomina che dormiva profondamente, alzò lo sguardo verso di lui, incuriosito. "Un conto in sospeso?" chiese. "Se posso aiutarti in qualche modo… voglio sdebitarmi."

  Valantz sorrise. Ma non era un sorriso amichevole, né uno di gratitudine. Era il sorriso sicuro di chi non chiede aiuto, di chi è abituato a risolvere le cose da solo e non vuole interferenze. Un sorriso fermo, con un leggero accenno di sfida, come se qualsiasi intrusione nel suo affare fosse superflua, persino fastidiosa.

  "Apprezzo il pensiero," rispose con tono deciso. "Ma io e Nyxial non abbiamo bisogno di aiuto, vero?"

  Al suono del proprio nome, Nyxial nitrì. Ma non fu un nitrito comune.

  Dalle sue narici si sprigionarono ombre che vorticavano come fumo denso e vivo, serpeggiando nell’aria prima di dissolversi nel nulla. Allo stesso tempo, dalle fessure della bocca spalancata fuoriuscirono lingue di fuoco crepuscolare, danzanti come fiammelle spettrali nel vento. Il suono che accompagnò quel gesto fu un brontolio profondo, gutturale, che si trasformò in un nitrito roco e minaccioso, simile a un tuono lontano che preannunciava una tempesta oscura.

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  "Direi che siamo d’accordo," concluse Valantz con un sorriso divertito.

  Poi si avvicinò ad Aster e abbassò lo sguardo su Gelsomina, che riposava tra le sue mani, la respirazione lenta e appena percettibile. La osservò per qualche istante, poi, con tono quasi scherzoso, disse: "è carina."

  Aster si voltò verso di lui, sorpreso. Valantz, invece, senza aspettare una risposta, si girò verso Nyxial con un sorrisetto. "Dai, vieni anche tu a vedere quanto è carina."

  Nyxial sbuffò con disappunto e, insieme all’aria calda del suo respiro, dalle sue narici si sprigionarono piccole fiammate incandescenti.

  "A me le cose carine non piacciono," brontolò, la sua voce profonda risuonò nelle menti dei presenti come un’eco lontana.

  Valantz rise e sfiorò con affetto la criniera del pegaso. "Allora non ti piaci nemmeno da solo," commentò con tono beffardo. "Perché nella tua forma originale sei carino anche tu."

  Nyxial si irrigidì all’istante e per un attimo restò immobile. Poi, pur essendo un essere oscuro e maestoso, con il suo manto nero come la notte senza stelle, sembrò arrossire.

  Il suo pelo, fitto e vellutato, non aveva riflessi: assorbiva la luce come un abisso senza fondo, profondo e insondabile. Ogni movimento del suo corpo faceva ondeggiare la criniera, densa come ombre vive, che sembrava mutare forma con il vento. Anche le sue ali, possenti e scolpite dalla notte stessa, si scossero leggermente, come se cercasse di scrollarsi di dosso l’imbarazzo.

  Aster osservò la scena e sorrise. Ma non per prenderli in giro, non perché ridesse di loro. Sorrise perché li trovava affiatati. Due esseri così diversi, eppure legati da un’intesa profonda e autentica.

  Nyxial se ne accorse e lo fissò con i suoi occhi freddi e luminosi.

  "E tu che hai da ridere?" chiese con voce bassa, quasi minacciosa.

  Aster sentì un brivido lungo la schiena, ma trovò il coraggio di rispondere con un sorriso timido.

  "è solo che… stare con voi è piacevole." disse in fretta. "E… mi mettete di buonumore."

  Valantz scoppiò a ridere e gli diede una pacca sulla spalla.

  Troppo forte.

  Aster, colto di sorpresa, perse l’equilibrio e per poco non cadde, rischiando di far scivolare Gelsomina dalle sue mani. Si raddrizzò appena in tempo e lanciò un’occhiata irritata a Valantz. "Se fossi caduto, Gelsomina si sarebbe fatta male," lo rimproverò con un’occhiataccia.

  Valantz alzò le mani in segno di resa. "Hai ragione, colpa mia," ammise con un mezzo sorriso.

  Dopo aver riposto con cura il corno di Yvrathis nella sua sacca, Valantz si issò in groppa a Nyxial con la consueta disinvoltura. Poi allungò una mano ad Aster per aiutarlo a salire.

  Nyxial decollò con un battito d’ali possente.

  Il vento fischiò attorno a loro mentre si sollevavano sopra la torre, ma il volo non durò a lungo. Dopo pochi istanti, il pegaso planò con grazia e atterrò non troppo distante dalla base della torre.

  Davanti a loro, tra le rocce e la polvere, giaceva il colossale corpo del Shyvrakth.

  Come aveva sospettato Valantz, il mostro non era morto.

  Era ancora vivo.

  Ma in fin di vita.

  Il gigantesco rapace, colossale e maledetto, era accasciato su un fianco, il respiro affannoso e irregolare. Il suo becco, spaccato dall’impatto con il martello di Valantz, era ridotto a un orribile groviglio di schegge d’osso e sangue rappreso. Il suo piumaggio nero, un tempo imponente e minaccioso, era ora sporco di polvere e lacerato in più punti. Un’ala giaceva piegata in un angolo innaturale, segno che la caduta aveva spezzato più di un osso.

  Ma i suoi occhi erano ancora accesi. Non di paura. Non di supplica. Ma di un odio feroce e indomabile.

  Valantz scese da Nyxial con un sorriso freddo e calcolatore. "Ora chiudiamo i conti."

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